Quando ci si ritrova alle prese con il dilagare di un agente infettivo, puntualmente scatta la fiera delle ipotesi nel tentativo di identificare la fonte da cui il nemico è scaturito. La culla del male, insomma. E nell’attesa della verità scientificamente assodata, assistiamo a volte a un incontrollato, paranoico “toto-germe”. Dinamiche alle quali non è certamente sfuggita la pandemia da Coronavirus che ci sta tenendo ancora sulla graticola.
Tutto ciò mi ricorda la pazza ipotesi avanzata da un tizio a proposito delle origini dell’AIDS.
L’anno è il 1996.
Un signore di Buenos Aires, un certo Raùl Sebastian, di professione libraio, ebbe modo di leggere su un giornale argentino un articolo dedicato al primo apparire dell’HIV sulla scena planetaria, servizio giornalistico a sua volta ricavato dall’eminente settimanale medico-scientifico The Lancet. Qui la virologa e immunologa francese Françoise Barré-Sinoussi ‒ super esperta di infezioni retrovirali e membro del team capitanato da Luc Montagnier all'Institut Pasteur quando, nel 1983, venne scoperto il virus dell'immunodeficienza umana (la causa dell'AIDS) ‒ aveva fornito un contributo dal titolo HIV as the cause of AIDS, in cui si diceva che
«i virus degli scimpanzé potrebbero essere stati introdotti negli esseri umani 30-50 anni fa».
La frase folgorò Raùl Sebastian. Che venne baciato da una suprema illuminazione. Nel suo animo prese a sgomitare una certezza incontenibile, perché la professoressa Barré-Sinoussi si era tenuta sulle generali, ma lui, sì, lui sapeva: Raùl Sebastian aveva individuato proprio “la” scimmia responsabile del contagio mondiale.
Il primissimo esemplare all’origine dell’epidemia planetaria!
Praticamente, il buon Raùl, leggendo quel riferimento ai virus delle scimmie, si ricordò, bibliofilo qual era, di un volume: le memorie dell’attrice Lilli Palmer. E senza indugiare inviò alla redazione del Lancet la scellerata prova sotto forma di "lettera all'editore" (che la rivista pubblicò il 16 novembre 1996 titolandola Did AIDS start in the jungle?).
Di quale indizio schiacciante stiamo parlando? È il brano in cui la moglie dell’attore Ronald Colman, Benita Hume, si divertiva a raccontare alla Palmer (siamo nel 1946) come uno scimpanzé maschio si fosse infatuato di Johnny Weissmuller, il più famoso Tarzan del cinema, sul set di uno dei suoi film. Guarda un po', tali accadimenti risalivano esattamente a 50 anni fa e perciò agli occhi del libraio argentino erano in grado di offrire una spiegazione brillante e plausibilissima al "salto di specie" discusso dalla professoressa Barré-Sinoussi.
Altro che Africa centrale: per Raùl Sebastian è a Hollywood che il virus scimmiesco ha cominciato subdolamente a serpeggiare. Ogni volta che l’olimpionico Johnny recitava in vesti quasi adamitiche, pare che la scimmia manifestasse con... turbolenze organiche oscene la sua sciagurata passione. Col regista, durante le riprese, che urlava agli assistenti: «Diamine! Dipingetegli di nero quell’affare! Chita mica deve andarci a letto con Tarzan!».
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