top of page

Ciak, si cura: il progetto MediCinema

  • Immagine del redattore: Edoardo Rosati
    Edoardo Rosati
  • 11 giu
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 11 giu

Nel ritmo convulso di un ospedale, dove ogni istante è scandito da protocolli, monitor e urgenze, può accadere qualcosa di… magico. Qualcosa che parla un linguaggio antico eppure sempre travolgente: quello delle emozioni. Qui, tra corsie, ambulatori e stanze d’attesa, entra in scena il cinema. Ma non come semplice passatempo. Non come distrazione. Il cinema, in questi luoghi, diventa terapia. Cura. Anzi: cineterapia.


È questa l’anima di MediCinema, l’unica realtà in Italia – e tra le pochissime al mondo – impegnata a convertire l’esperienza cinematografica in uno strumento riabilitativo autentico, utilizzando il supporto audiovisivo come supporto ai trattamenti tradizionali.

Fondata nel 2013, sull’esempio dell’omonimo progetto britannico, MediCinema è assai più di un’iniziativa culturale: è l’incontro tra scienza e immaginazione, tra il rigore della medicina e la potenza aggregante della narrazione. Dove lo schermo non intrattiene soltanto, ma accompagna, sostiene, riaccende. Qui, il confronto filmico diventa alleato della cura. E la sala delle visioni si trasforma in un teatro di rinascita. Perché, come dimostrano ricerche cliniche sempre più numerose, vedere un film può generare benefici neurologici misurabili, arginare i livelli di stress, ridurre la percezione del dolore e ─ soprattutto ─ restituire al paziente una dimensione di normalità.


Ma qui è importante un chiarimento: MediCinema non propone proiezioni, come dire,… estemporanee, organizzate in risposta a specifiche occasioni. No. La sua volontà è proprio quella di edificare all’interno degli ospedali vere e proprie sale cinematografiche, progettate con grande accuratezza per risultare senza barriere, accessibili anche ai degenti non autosufficienti. Spazi attrezzati con impianti audio e video di prim’ordine, sedute comodissime, illuminazione professionale. E c’è un dettaglio che fa la differenza: questi ambienti possono accogliere pure i familiari, restituendo ai pazienti quella condivisione che troppo spesso, durante il ricovero, viene meno.

Non solo visione, dunque. Ma presenza, relazione. Umanità.


«Questo nostro sogno di portare il cinema dove nessuno se lo aspetta, dentro l’ospedale, accanto alla cura, è diventato una solida realtà in due grandi strutture sanitarie, a Roma e a Milano», spiega Fulvia Salvi, presidente di MediCinema, dopo una lunga e brillante carriera nell’industria filmica. «Al Policlinico Gemelli, lo spazio, inaugurato nel 2016, è capace di accogliere 130 persone, mentre la sala nell’ospedale milanese Niguarda, varata nel 2018, può ospitare fino a 80 spettatori. L’accessibilità è stata per noi una priorità assoluta: doveva essere un habitat davvero alla portata di tutti, anche per chi è costretto in carrozzina o allettato. Volevamo che nessuno si sentisse escluso».


Ciascun ambiente ha preso forma in appena quattro mesi: un tempo che, seppur breve, ha racchiuso un’intensa concentrazione di impegno, passione e determinazione. Ogni giorno dedicato a trasformare un’idea luminosa in una dimensione tangibile, dove il cinema non è solo entertainment, ma un codice universale, un rifugio emotivo, un ponte tra la sofferenza e la speranza. Un respiro dentro la fatica quotidiana della malattia e, soprattutto, una componente viva del percorso di cura.


E qui arriviamo al cuore pulsante del discorso.

Già, il lavoro di MediCinema, rimarca Fulvia Salvi, è supportato da un approccio rigorosamente scientifico. Ogni attività viene monitorata attraverso strumenti psicologici e medici, a braccetto con gli specialisti, al fine di documentare i benefici reali del cinema come co-terapia. L’obiettivo è profondo: promuovere il benessere psicologico e sociale dei pazienti, migliorare la qualità della degenza e corroborare, con analisi oggettive, l’efficacia della metodologia audiovisiva quale parte integrante dei percorsi terapeutici. È proprio nei dati medico-scientifici che il progetto dimostra tutta la sua solarità. Il miglioramento psico-fisico dei pazienti che partecipano alle sessioni filmiche oltrepassa il 50%, con una netta riduzione dell’ansia, dello stress e persino del dolore percepito.


Toccanti i risultati di un’indagine diffusa nel 2022 dalla rivista Cancers.

A una trentina di donne, di età compresa tra i 23 i 70 anni e affette da un carcinoma ginecologico, è stato proposto un percorso di cineterapia: dodici film, scrupolosamente selezionati. E, accanto alle immagini, la voce della psicoterapia: incontri guidati, dialoghi aperti, sentimenti lasciati fluire. Ebbene, nelle pazienti coinvolte si è registrata una crescita evidente, palpabile, del benessere psicologico: l’ansia ha allentato la presa, mentre l’empatia – verso sé stesse e gli altri – ha preso slancio con forza inattesa, quasi liberatoria. Una sorta di… risveglio interiore che ha riacceso il dialogo con il mondo. Come dire: le partecipanti hanno imparato a… stare dentro al proprio disagio senza esserne travolte, schiacciate, riconoscendolo, attraversandolo, e trasformandolo. Hanno attivato risorse interiori più strutturate e consapevoli, ciò che gli esperti definiscono «strategie di coping», ovvero quei meccanismi profondi che ci aiutano a far fronte (è proprio questo il significato del verbo inglese to cope) alla fatica, a dare un senso all’esperienza, a trovare un passo nuovo anche nei tratti più incerti del cammino. E così, giorno dopo giorno, tutte hanno cominciato a osservare la malattia con sguardo diverso: meno segnato dalla paura. E più presente nel tempo reale delle cose quotidiane.

Potremmo dire che l’espressione delle emozioni, spesso inibita da anni di fatiche e timori, è tornata a scorrere libera, in queste donne. Proprio come le sequenze di un film che trova il suo logico finale.


Aspetto tutt’altro che marginale è che questa straordinaria conferma scientifica dell’efficacia della cineterapia è maturata nel pieno della pandemia, in un tempo sospeso, quando la solitudine era diventata una compagna costante e l’accesso al supporto psicologico si era rarefatto, se non del tutto interrotto. In quel vuoto pneumatico di contatti e conforto, la sessione filmica ha saputo rivelarsi una terapia sottile ma potentissima, capace di raggiungere la sfera interiore laddove le parole mancavano. Una modalità inedita per restituire dignità e identità. E per ribadire che prima di essere pazienti, si è persone.


«Le pellicole vengono selezionate con grande attenzione», spiega Fulvia Salvi, «perché non si tratta solo di proiettare un titolo, ma di scegliere opere di qualità, storie che sappiano parlare al cuore e alla mente. Film capaci di ispirare, far sorridere, commuovere, accendere ricordi o nuove riflessioni. Ogni visione è pensata per offrire un momento emozionale autentico». Sono occasioni in cui il dolore arretra, lo spirito si alleggerisce ed emerge la forza silenziosa di un’esperienza condivisa.


L’Associazione ha dato vita a un’intera galassia di progetti: laboratori di cinema per adolescenti in difficoltà, percorsi artistici per bambini affetti da malattie rare, programmi dedicati alla salute mentale femminile, alle cure palliative pediatriche, al supporto dei caregivers. Anche il mondo del cinema ha risposto con entusiasmo: registi come Giuseppe Tornatore, Andrea De Sica, Rolando Ravello hanno firmato corti e documentari dedicati a questa caleidoscopica realtà, contribuendo alla diffusione di una cultura trasversale del benessere mediante il potere evocativo delle immagini in movimento. Non sorprende, dunque, che eventi prestigiosi come la Festa del Cinema di Roma, il Torino Film Festival, BookCity Milano, JazzMi e Milano Film Fest abbiano trovato casa proprio nelle sale MediCinema: luoghi nati per la cura, che oggi accolgono anche la grande cultura, trasformandosi in spazi vivi dove salute e bellezza si stringono la mano. E tal proposito: tra i momenti più toccanti del Milano Film Fest 2025, l’attore Claudio Santamaria, direttore artistico dell’evento, ha ricordato con particolare emozione la proiezione organizzata all’interno dell’Ospedale Niguarda, davanti a un pubblico di pazienti. Portare un sorriso e un frammento di leggerezza in una location spesso segnata dalla solitudine e dalla sofferenza è stato, per lui, un privilegio raro. Ancora più sorprendente, ha sottolineato, è risultata la partecipazione del pubblico, soprattutto quello più giovane: un’adesione sentita, calorosa, che ha superato ogni aspettativa.


Dietro ogni proiezione firmata MediCinema si muove una rete silenziosa e solerte di volontari, tecnici, operatori sanitari, partner aziendali e istituzioni culturali. È un ecosistema complesso, denso di professionalità diverse unite da un obiettivo comune: umanizzare la sanità, rendere il percorso della malattia più sopportabile, restituire centralità alla persona.

Insomma, la salute non è solo una questione di organi e farmaci, ma anche di storytelling. Perché raccontarsi ─ o rispecchiarsi nelle storie degli altri, che è poi l’essenza stessa del cinema ─ ci fa sentire meno soli.


E allora, adesso che i dati parlano chiaro, che la scienza conferma quanto l’dea di MediCinema funzioni, ribadendo la necessità di un’arte medicale che sappia intrecciare la cura del corpo con quella dell’anima, l’augurio è che tale opportunità si espanda, si moltiplichi, trovi dimora in altri contesti sanitari. In un mondo sempre più orientato verso una sanità hi-tech, tra intelligenze artificiali e chirurgie robotiche, MediCinema ci vuole ricordare che l’evoluzione della medicina passa anche dalla riscoperta del suo volto più umano. Perché a volte, per cominciare a guarire, non bastano le pillole. Servono anche una luce che si accende dentro di noi (come quella, non a caso, in fondo alla sala, quando inizia il film), un’emozione capace di farsi cura e... qualcuno con cui poterla condividere.


 
 
 

Comentarios


bottom of page