C’era una volta un ragazzo.
Si chiamava Davide Ciceri.
Se l’è portato via un osteosarcoma.
Era tormentato da una parola: perché.
Perché quella Bestia aveva deciso di azzannarlo proprio quando la vita si apprestava a regalargli un futuro di pilota nel motocross?
Mi diceva: «Certe volte Dio proprio non lo capisco». E lo ha scritto anche, nella sua toccante autobiografia Dal settimo cielo al settimo piano (Solferino Editore).
Il “settimo piano” è quello che all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano ospita la Pediatria oncologica diretta dalla dottoressa Maura Massimino e quel confortante approdo che si chiama Progetto Giovani, coordinato dal dottor Andrea Ferrari.
L’irrequietezza di Davide somigliava proprio a quella dei motori che cavalcava. E che ribollivano sui percorsi accidentati delle gare. Questo vulcanico biker continuava a interrogarsi. «Nella mia “pancia” io sento quello che è giusto e ciò che è sbagliato nella vita. So perfettamente riconoscere quando una persona subisce un torto e un’altra, al contrario, un vantaggio che non merita affatto. Io lo so. Io. E perché non Dio? Come la mettiamo con un adolescente malato di cancro? Che logica mistica c’è in questa bruttissima roba?».
Un prete provò a piazzare dei paletti nella folla di tutti quei pensieri. Le sue parole cercarono in qualche maniera di ammansire l'incendio nella testa: «I nostri corpi sono fatti di cellule che degenerano in modi imprevedibili, Davide caro… Dio, ahimè, qui non c’entra affatto».
Davide aveva maturato a 19 anni una spiazzante saggezza. Una superiore profondità di pensiero, baciata per giunta da un tocco di ironia non comune. Mi confessava e ha scritto: «Tanta gente ha reazioni diametralmente opposte alla mia di fronte alla malattia. Si avvinghia con tutte le forze alla fede e alla preghiera. Nella speranza di ricevere un aiuto ultraterreno capace di spezzare la pessima sorte. Io no. Io non ho sviluppato questo atteggiamento. Resto credente, non posso negarlo. Io credo fermamente che per tutti ci sia un domani, lassù. E anche quando monto in sella, ogni volta mi faccio il segno della croce. Mi sento più protetto, così. Ma questo Dio, lasciatemelo dire, non si è comportato da… Signore, con me. Però qui rischio di incaprettarmi nei labirinti dei perché. Che quando hanno a che fare con il destino, la religione e la vita finiscono per intrappolarti e toglierti il fiato».
Prese atto del fatto di essere protagonista di un… “mistero divino”. E gli sembrava quasi fico dirlo. Che poi, tradotto in termini pratici, è né più né meno la sostanza di una frase che l’inesauribile dottor Andrea Ferrari, lì, al settimo piano dell’Istituto dei Tumori, ripete di continuo ai suoi ragazzi: «Se un adolescente si ammala di cancro, non c’è un perché».
In certe giornate, quando il cielo tuona, sono convinto che Davide sta sfrecciando tra le nuvole sul suo destriero rombante.
Comments