C’è una fanciulla. Plasticamente distesa su un letto. Addormentata in una stanza nella penombra. Il capo reclinato in basso e un braccio abbandonato verso il pavimento. Un folletto maligno se ne sta seduto sul suo busto (quasi un gargoyle delle cattedrali gotiche) e dall’oscurità spunta la testa tetra di una cavalla spettrale, dai bianchi globi oculari.
È L’incubo, il celeberrimo dipinto dell’artista svizzero Johann Heinrich Füssli. Un’opera che risale al 1781 e che continua a stregare anche gli osservatori odierni, perché sembra materializzare e associare in maniera sorprendente i variegati elementi – patologici e immaginifici – che contraddistinguono un disturbo assai speciale: la paralisi del sonno. Questo disagio neurologico è antico: l’Ishmael di Moby Dick sperimentava terribili episodi del genere, e descrizioni del fenomeno si registrano già dal 400 a.C. nei libri dei sogni cinesi, tramandando sempre la medesima immagine: quella di una presenza oscura che ci insidia nel cuore delle tenebre.
Ma, tecnicamente, stiamo parlando di che cosa?
Si tratta di un fenomeno dissociativo, una cosiddetta parasonnia.
Succede, in pratica, che ci si sveglia nel bel mezzo di quella fase del sonno che si chiama REM. Questa celebre sigla sta per Rapid Eye Movements (ossia «movimenti oculari rapidi») e corrisponde alla fase dei sogni. «Sotto le palpebre di chi dorme, i globi oculari guizzano come se stessero osservando un panorama dal finestrino di un treno in corsa», interviene Giuseppe Plazzi, professore di Neurologia all’Università di Bologna, dove dirige il Laboratorio per lo studio e la cura dei disturbi del sonno dell’IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche.
Tale stadio del riposo notturno viene anche chiamato «paradossale». Per quale motivo? Perché all’energica attività cerebrale corrisponde un’inattività muscolare, una paralisi fisiologica, insomma: la regione più antica e primitiva dell’encefalo, il tronco cerebrale, si premura infatti di disinnescare i neuroni motori del midollo spinale, che orchestrano il movimento. Si ritiene che tutto ciò abbia un suo ben preciso scopo evoluzionistico: l’immobilità forzata dei muscoli serve, dinanzi all’esuberanza delle immagini oniriche, a impedirci di reagire fisicamente, di compiere, durante tale fase del sonno, qualche movimento incontrollato che potrebbe ledere noi o chi ci sta accanto. Senza questo meccanismo la nostra integrità fisica può risultare costantemente in pericolo.
Oltre ai gruppi muscolari che animano gli occhi, rimangono vigili soltanto quelli che governano il respiro, la deglutizione e i movimenti dei padiglioni auricolari.
In buona sostanza, la paralisi fisiologica dei muscoli nel sonno REM serve a tutelare l’essere umano dal rischio di ferirsi, scalciando o agitando le braccia in seguito all’esperienza onirica.
E fin qui nulla da eccepire.
Il dilemma sorge quando questo meccanismo di sicurezza s’inceppa e ci si ritorce contro: si sperimenta allora la drammatica esperienza di svegliarsi nel pieno della notte (o del pomeriggio, se si sta schiacciando un pisolino) cristallizzati nella staticità muscolare.
Vi ridestate nel cuore delle tenebre. Il corpo immobile, ma la mente sveglia, consapevole dello stato impotente. Siete ingabbiati tra il mondo del sonno e quello della coscienza. Incapaci di muovervi. O di cacciare un grido. E poi, sì, c’è... quell’assurda presenza sgranata, nella stanza, che sembra avvicinarsi nel silenzio nero… Il petto batte furiosamente, implorando una via di fuga. Che non arriva mai.
Non è un’esperienza infrequente.
«Si stima che fino al 20% per cento dei soggetti giovani-adulti provi questo disagio almeno una volta nella vita», spiega Plazzi. È anche uno dei sintomi tipici della narcolessia, patologia neurologica contrassegnata principalmente dall’eccessiva sonnolenza diurna, con repentini attacchi di sonno che si manifestano più volte nel corso della giornata.
Dunque, l’hardware neurobiologico che separa la veglia dal sonno REM si desincronizza, e così ci si ritrova con le palpebre sbarrate, congelati nella fissità motoria, bersaglio facile di visioni spettrali ed entità sinistre, che tormentano la vittima nelle ore più cupe della notte.
La paralisi del sonno, benché fenomeno fisiopatologico decifrato dalla moderna neurologia, continua a sfidare la comprensione umana, restando tuttora una terra di speculazione, credenze ancestrali e, direbbe Franco Battiato, «sintomatico mistero».
In un mondo ove la notte dovrebbe essere un rifugio di pace e riposo, la paralisi del sonno si erge come un torvo castello, ricettacolo degli incubi più reconditi. Manifestazione palmare del potere oscuro e insondabile della mente umana. Ma anche una sorta di monito minaccioso, che pare ribadirci la friabilità della nostra stessa esistenza.
Gli episodi durano in genere una manciata di secondi, e tuttavia sconcertano profondamente, perché si associano pure a un pervasivo senso di sgomento e una propensione a sperimentare allucinazioni disturbanti. Paurose. Alcuni scienziati sostengono che il fenomeno sia da ricollegare a una parallela attivazione, durante la crisi, di quella famosa area del cervello chiamata amigdala, la cabina di regia che governa le emozioni e in particolar modo la paura. La sleep paralysis incarna, in effetti, il non plus ultra dell’iconografia classica dello spavento: gli occhi spalancati, la muscolatura ibernata, assolutamente incapace di agire o reagire, il torace provato dall’affanno…
E chissà che non sia proprio questo blackout notturno della neurofisiologia la madre degli innumerevoli satanassi e spauracchi che popolano la fantasia del genere umano a tutte le latitudini e longitudini.
Nelle testimonianze dei pazienti, infatti, ricorre un elemento: il senso di una presenza aliena nella stanza. Una figura sinistra, ostile, malevola, che incombe su di noi e opprime il torace, rubandoci il respiro. Un’“ombra” che poi noi esseri umani abbiamo finito per tipizzare e colorare sulla scia delle personali convinzioni religiose e del folclore ereditato.
Non di rado, prima della nascita della medicina scientifica ─ e purtroppo in rari casi anche in seguito ─, simili fenomeni erano ritenuti vere e proprie possessioni, e richiedevano addirittura l’intervento di un esorcista, nel ferreo convincimento che il corpo del malcapitato dovesse essere mondato dai demoni e dai fantasmi che nottetempo l’avevano corrotto.
Il professor Plazzi conosce assai bene il tema di cui si sta parlando, ovviamente da neuroscienziato, e, sì... anche come paziente.
«Le mie paralisi del sonno con gli anni sono quasi scomparse, ma pur sapendo che si tratta soltanto di un disordine neurologico, quando si presenta non c’è nulla che riesca a rassicurarmi mentre mi trovo immobilizzato a letto. Perdo il lume di ogni certezza scientifica e mi lascio trascinare dal terrore genuino».
Il neurologo ha ancora impresso a fuoco nella memoria uno degli ultimi episodi, narrato anche nel suo toccante libro I tre fratelli che non dormivano mai (Il Saggiatore).
«Mi ha colto in ospedale. Ero stanchissimo, esausto. Avevo parecchio sonno, così alle tre del pomeriggio decisi di coricarmi per quindici minuti nel lettino della stanza del laboratorio. Mi addormentai all'istante, a pancia in su, per poi svegliarmi dopo solo pochi minuti. O almeno così pensavo. Sapevo di essere nel laboratorio e riuscivo a vederlo con abbastanza chiarezza. Vedevo anche me stesso dall’alto, ma stentavo a riconoscermi. Cercai di alzarmi, però mi sentivo del tutto bloccato, come se una presenza mi schiacciasse contro il materasso. Anzi, non sembrava: c’era davvero qualcuno che mi spingeva con forza sul letto fin quasi a farmi sprofondare! Sentii il bisogno di urlare. In parte consapevolmente mi trattenni: sapevo che di là c’era gente e non volevo finire in una situazione imbarazzante. Decisi però di gridare lo stesso, sopraffatto dal terrore, ma dalla mia gola non uscì alcun suono, forse un gorgoglio sottile. Sapevo di cosa si trattava, cercai di muovere le dita, prima quelle delle mani e poi dei piedi. “Funzionerà”, pensai, e invece… nulla. Percepivo con chiarezza una forza che si accaniva sul mio torace immobilizzandomi. D’altra parte, se anche fossi riuscito a muovere un dito, sarebbe stato necessario uno sforzo ancor più grande per scavalcare le sbarre alzate del letto ospedaliero. “Aspetta un momento... Non erano alzate quando mi sono coricato, pochi minuti fa!”. C’era qualcuno nella stanza, ne ero certo, mi terrorizzava e si stava prendendo gioco di me!».
Per la cronaca: come si affronta il disagio?
Il neurologo potrebbe prescrivere un farmaco antidepressivo o suggerire il ricorso alla MR Therapy, un trattamento a base di meditazione e rilassamento. È un approccio cognitivo-comportamentale: punta a disinnescare l’attacco con esercizi ad hoc, che rendono il paziente conscio di quanto sta accadendo e in grado di concentrarsi sulla riattivazione di specifici gruppi muscolari. Diventa così possibile ridurre nel tempo la frequenza degli episodi e soprattutto controllare, sul momento, i sintomi legati all’ansia tracimante.
«Il sonno della ragione genera mostri», recita il titolo della celeberrima opera realizzata nel 1797 da Francisco Goya. Il dormiente, nell’incisione del pittore spagnolo, giace chino sul proprio tavolo di lavoro. Alle sue spalle si staglia un plotone di creature notturne dai volti ghignanti, pipistrelli e gufi, e accanto alla sedia, a mo’ di sfinge, sta accucciato un diabolico felino dagli occhi spiritati...
La ragione è la luce che ci consente di emergere dalle oscurità demoniache. Ma nelle ore della notte essa dorme, e così i messaggeri di paura, cantati e tramandati fin dai tempi antichi dalle leggende e dalle credenze urbane, scorrazzano liberi...
Comments